RIGA, LETTONIA – Il fischio finale della partita contro la Slovenia non ha solo sancito l’eliminazione dell’Italia dall’Eurobasket 2025, ma ha segnato la fine di un’era. Non un’era di trionfi inequivocabili, né di risultati indimenticabili, ma un’era definita da un’intensità emotiva senza precedenti. Dopo due anni intensi e a tratti caotici, Gianmarco Pozzecco ha rassegnato le sue dimissioni da Commissario Tecnico della Nazionale Italiana di basket, mettendo la parola “fine” a un’avventura che è stata molto più di un semplice incarico. Le sue ultime parole, in una conferenza stampa carica di lacrime e affetto, non sono state l’analisi di una sconfitta, ma una vera e propria dichiarazione d’amore per i suoi ragazzi. L’annuncio è arrivato chiaro e diretto: “Questa è la mia ultima gara con la Nazionale”. Un addio che, per chi lo ha vissuto da vicino, suona come la chiusura di una storia romantica e, per molti versi, folle.
Un incarico inatteso, un amore viscerale
Quando Gianmarco Pozzecco accettò la panchina azzurra il 2 giugno 2022, in pochi avrebbero potuto prevedere la portata del suo impatto. Sotto il suo predecessore, Romeo Sacchetti, la Nazionale era una squadra di guerrieri, ma Pozzecco ha iniettato un elemento totalmente nuovo: la passione più pura e sregolata. Lui non è stato un allenatore, ma un catalizzatore di emozioni. Ha portato in panchina la stessa carica elettrica che lo aveva reso un giocatore iconico, unendo l’istinto alla tattica, le urla alle carezze, le lacrime di frustrazione agli abbracci di gioia. La sua immagine più iconica non è un diagramma di gioco, ma l’abbraccio indimenticabile a Nikola Jokic o le lacrime versate per la sconfitta dei suoi ragazzi.
Il suo stile di coaching era un’estensione della sua personalità: diretto, genuino, talvolta irruente. Ha costruito un legame indissolubile con i suoi giocatori, una connessione basata non solo sul rispetto professionale, ma su un affetto sincero e profondo. Non era un tecnico che stava dietro una lavagna, ma un uomo che viveva la partita in ogni singolo istante, respirando con i suoi atleti, soffrendo con loro e celebrando ogni piccolo successo come se fosse l’ultimo. Il rapporto tra il “Poz” e il suo “gruppo” è stato la vera firma della sua gestione.
Tra luci e ombre: il bilancio dell’era Poz
Il bilancio sportivo del Pozzecco allenatore non è stato esente da critiche, ma è stato un percorso di alti e bassi che ha mantenuto la Nazionale tra le protagoniste del basket europeo. In tre stagioni, ha raggiunto due volte i quarti di finale nelle competizioni maggiori: agli Europei 2022 e ai Mondiali 2023. Sono stati risultati importanti, frutto di un gioco coraggioso e di un’intesa di squadra che superava i limiti tecnici. L’eliminazione in quarti contro la Francia, e soprattutto quella contro gli Stati Uniti, sono state sconfitte dignitose, che hanno mostrato il cuore e la grinta degli azzurri.
Ma l’era Pozzecco ha avuto anche le sue ombre. Il fallimento nella qualificazione per le Olimpiadi di Parigi 2024 è stato un colpo durissimo, un sogno infranto che ha lasciato un segno profondo sulla squadra e sul suo allenatore. E il ko negli ottavi di finale degli Europei 2025, per mano di una Slovenia trascinata da un Luka Doncic in stato di grazia, è stato il colpo di grazia. Un’eliminazione precoce che, nonostante la rimonta eroica degli azzurri, ha messo fine a un ciclo e ha reso inevitabile una riflessione sul futuro. Il suo record non è stato impeccabile, ma per i suoi giocatori, quel record è sempre stato secondario rispetto al legame che li univa.
Le ultime parole: la lettera d’amore a una squadra
La conferenza stampa post-partita è stata l’ultimo atto di Pozzecco. Un momento di verità in cui non ha cercato alibi o scuse, ma ha parlato con il cuore in mano. Le sue parole sono state una vera e propria lettera d’amore per i suoi ragazzi e per l’intera esperienza vissuta. Ha ringraziato il presidente federale Petrucci e il GM Trainotti per l’opportunità, definendo l’incarico “il miglior momento della mia vita” e un onore.
Ma il punto più toccante è stato quando ha spostato l’attenzione da sé stesso alla sua squadra. “Non mi interessa che tipo di coach sono e non mi frega di quello che pensate di me. Nella mia vita sono concentrato solo sui miei giocatori. Oggi sono triste non perché abbiamo perso, ma perché li ho visti sofferenti.” Questa frase riassume la sua intera filosofia: la sua priorità non è mai stata vincere a tutti i costi, ma proteggere i suoi giocatori, prendersi cura del loro spirito, della loro dignità. La sua tristezza non era per la classifica, ma per la loro delusione. E ha concluso con una dichiarazione che riecheggia come un’eco negli spogliatoi di Riga: “Come ho detto negli spogliatoi, nessuno ha il rispetto che ho dai giocatori italiani. Ho detto che nessuno li amerà più di me.” Una promessa e un’affermazione che suggellano un legame indissolubile.
L’eredità di un allenatore unico
L’eredità di Gianmarco Pozzecco va oltre i risultati. Ha restituito alla Nazionale un’anima, un’identità forte e una passione viscerale che aveva rischiato di perdersi. Ha dimostrato che il cuore e l’emozione possono essere una bussola, una guida per una squadra che, pur non sempre vincente, è sempre stata unita e coraggiosa. Il suo addio segna la fine di un’epoca, lasciando una domanda aperta e cruciale: chi sarà il successore che la Federbasket sceglierà per la panchina azzurra? Sarà un tecnico che si concentrerà solo sulle tattiche o qualcuno che saprà raccogliere il testimone emotivo di un allenatore che ha dimostrato, prima di tutto, di essere un grande uomo? La risposta a questa domanda definirà il futuro del basket italiano.

